Bianca portava ogni volta qualcosa da mangiare per la cagna storpia e incontinente che girava per gli studi, una volta l’ingrata rispose mordendole una mano. Bianca sbuffava, affannava, scricchiolava quando faceva le scale, e in cima si accendeva una sigaretta. Bianca raccontava gli Stati Uniti, le svolte geopolitiche, dipingeva possibili scenari futuri partendo dai calzini spaiati di un tal candidato democratico. Quando in redazione suonava il telefono ed era lei, ci nascondevamo tutti sotto i tavoli e ci negavamo a vicenda, poi la vittima che si immolava prendeva in mano la cornetta sapendo che avrebbe speso i prossimi trenta minuti ad ascoltare fiumi di parole. Bianca apriva parentesi su parentesi e non le chiudeva mai, amavo ascoltarla alla radio, era un Massimo Bordin al femminile (spero che questo lei non lo legga mai), aveva la stessa intelligenza, lo stesso umorismo, la stessa autoironia, e lo stesso ciancicato stile al microfono, tra colpi di tosse e splendidi inciampi. Bianca voleva andare a Cuba quando c’era ancora Fidel Castro e voleva andarci con me, perché “era meglio fare un viaggio tra donne”. Bianca voleva scrivere un nuovo libro, il titolo già lo sapeva: Attica. Attica è la storia di una bambina nata durante le rivolte nel carcere di New York del ‘71, quando la mamma ha le doglie è in cucina, dalla radio ascolta la notizia delle proteste e decide di chiamare la figlia Attica. Me ne ha parlato poche settimane fa, quando mi ha chiesto di portarla a mangiare una pizza nel parco dietro casa sua, mentre spingevo la sedia a rotelle la mia borsa si incastrava con il filo della sua bombola dell’ossigeno e ogni tanto abbiamo rischiato si scassasse tutto, Bianca era terrorizzata e divertita. Ci siamo fatte anche un selfie. La sua Attica non sarà mai pubblicata, ma sono sicura che vive nelle cartelle del suo computer. Con Bianca Cerri, anche detta White Cherry, se ne va una grande donna e un gran pezzo di radio.