La nostra vita a Labaro. Così le studentesse e gli studenti della scuola primaria di secondo grado dell’Istituto Comprensivo Baccano hanno sottotitolato il programma radiofonico che si è costruito passo a passo durante il mese del maggio 2025. Ci si incontrava in un’aula, l’87, su, al terzo piano. Ogni giorno era sempre più caldo del precedente. Aprivamo le finestre, entravano le voci dei bambini della scuola elementare lì accanto, e poi quelle più piccole dal giardino della Scuola d’infanzia, qualcuno dei ragazzi, in un gioco dedicato ai suoni, le ha definite “sincere”.
Ascoltavamo. A volte c’erano musiche ripetute, tra prove finali e saggi di chiusura di cose studiate nel corso di un intero anno. Ascoltavamo l’esterno. Poi, raccolti in un piccolo cerchio, su piccole sedie, ci si raccontava. Di quella volta che a Labaro io mi ero perso, di quella volta che ci eravamo incontrati alle giostre e poi qualcosa è andata per un verso sbagliato, della gelateria, che insieme al campetto è forse l’unico posto che frequentiamo. E poi di quello che ci si aspetta dalle strade che si vivono: ci vorrebbero più libri, dice Chiara, perchè la biblioteca qui è chiusa da anni. L’erba, si c’è, ma non si può calpestare, perchè spesso è affare privato, campi sportivi, cortili interni di palazzi. Ci vorrebbero più tramonti, dice Anastasia, in questo quartiere costruito negli anni ‘60 del secolo scorso.
Sono stati giorni intensi, avvolti dal sentimento della fine dell’anno, le ultime disperate verifiche, le passeggiate indolenti nei corridoi, le risate e anche un pò l’anticipata malinconia per una lunga pausa in vista che lacera quel mondo tutto raccolto in un parallelepipedo. I professori, gli assistenti, gli adulti insomma che popolano quell’ecosistema mi hanno accolto con affetto, mettendomi a disposizione spazi e tempo, e soprattutto ragazzi. Loro, i protagonisti, sono stati infinitamente generosi, pronti a raccontare e a raccontarsi, curiosi, vivaci, profondi, nonostante la stanchezza, l’afa, il tormento delle ultime ore di scuola. L’ultimo giorno di laboratorio, c’era un grande trambusto per la via. Una parte dell’istituto, quello che ospita le elementari, nella notte era stato sfregiato. Divelti banchi, sedie, gli appendiabiti ai muri, rovesciati gli armadi con quaderni e lavoretti, sradicati gli estintori per allagare quel pasticcio di fogli, disegni, cartelli costruiti dai bimbi. Il clima, quella mattina, non mi pareva iroso, era molto triste, tuttavia. Per quella ferita squarciata all’interno di uno dei luoghi in cui ancora si crea, si ragiona, si immaginano nuovi percorsi.
Nei giorni trascorsi insieme ai ragazzi della scuola media, abbiamo anche parlato di quel documentario di Luigi Comencini del 1970, I bambini e noi. Uno dei sei episodi realizzati per la Rai è stato girato proprio lì, a pochi chilometri da quella scuola. Nel 1970 Labaro era ancora un esteso terreno incolto, c’erano le case auto costruite dai braccianti, emigrati dal centro e sud Italia in questa capitale brulicante. C’erano le classi differenziali, c’erano i giochi tra la terra e le spighe. Comencini incurante di imbarazzi o disagi piazzava il microfono di fronte ai ragazzi. E loro parlavano. Beh, a distanza di 55 anni, hanno ancora molto da dire. Ascoltiamoli.
Il laboratorio fa parte di “Alla fine della città”, un progetto Ti con Zero Ets, direzione artistica Fernanda Pessolano. Il progetto, promosso da Roma Capitale - Assessorato alla Cultura, è vincitore dell'Avviso Pubblico Artes et Iubilaeum - 2025, finanziato dall'Unione Europea Next Generation EU per grandi eventi turistici nell’ambito del PNRR sulla misura M1C3 - Investimento 4.3 - Caput Mundi